In volo verso l’Africa

Il pensiero va alle tante partenze, e ai ritorni della Zia Maria per e dall’Africa, che venivano vissuti da tutta la famiglia come un evento. Quando ero più piccolo era già una cosa eccezionale avvicinarsi all’aeroporto poi é stato sempre più coinvolgente. L’ultimo ad averti accompagnata a Malpensa sono stato io che, pur non capendo e condividendo al 100% la tua scelta di vita, ero comunque colpito dal tuo impegno e dalla forza di volontà che mettevi per portare avanti i tuoi progetti. Adesso che stiamo portando avanti noi alcuni di questi progetti con la Fondazione, aiutaci a metterci tutta la passione e l’entusiasmo che ci trasmettevi quando il viaggio verso l’Africa si avvicinava.

Stefano Bertoglio

13 febbraio 2005, Uige – Angola

Ciao,
un pò è il pc che non va e un po’ il satellite. Non so se stasera riuscirò a collegarmi. Hai ricevuto la posta di ieri? Sono stanca, c’è un sacco di lavoro e in piu’ logorante, con bambini gravissimi che ti muoiono sotto gli occhi senza che si possa far niente. Gli omologhi locali non se la prendono tanto, anzi…

Che tristezza. Una nota positiva è che ieri sera la Michela, logista farmacista tuttofare e diplomata shiatsu, mi ha fatto un massaggio. Meraviglia! Guarda cosa ti sei persa a non venirmi a trovare!
Ciao, baci a tutti

Maria

Maria Bonino era partita nel marzo 2003 con un progetto di Medici con l’Africa Cuamm per lavorare nel reparto di pediatria dell’Ospedale provinciale di Uige in Angola.

Fin dall’ottobre 2004 ha denunciato la comparsa di morti sospette per febbre emorragica ma non ha mai ricevuto la risposta relativa agli accertamenti eseguiti e inviati ai tecnici del Ministero della Sanità nella capitale Luanda.
Nel febbraio 2005 si è verificata una recrudescenza di casi di febbre emorragica, tutti mortali. Anche in questa circostanza Maria non ha avuto sostegno dalle autorità locali fino alla morte di un’infermiera, la prima di una lunga lista che avrebbe coinvolto anche lei.

Il 16 marzo Maria lamentò i primi sintomi e il 20 marzo fu trasportata in aereo a Luanda e ricoverata in isolamento presso una clinica della capitale. Spirava alle 6,30 del 24 marzo 2005.

E chi se l’aspettava che a 15 anni dalla tua morte, zia, ci ritrovassimo a lottare in tutto il mondo contro un virus.

Intuisco di più cosa può averti mosso in quei giorni di febbraio 2005: le osservazioni di qualcosa di strano, la richiesta di aiuto, le raccomandazioni da parte nostra, sicuramente la confusione, l’incertezza, il senso di smarrimento che se qui ha colto i governanti immagino come abbia colto te che, a differenza nostra, ti sei trovata non supportata da uno stato, non tutelata, senza le protezioni adeguate, forse poco capita anche da noi.

Posso immaginarti un po’ più da vicino. La certezza di voler continuare ad andare in ospedale, la volontà di non abbandonare i tuoi pazienti, decisioni che sicuramente son venute prima rispetto a qualsiasi preoccupazione di salvarsi la pelle e non infettarsi.

Un libro che ti portavi dietro, che ho visto sul tuo comodino in Africa dice: “Forse che il fine della vita è vivere? Non vivere ma morire e dare in letizia quel che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna! Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere data?”.

Zia, ti vedo più da vicino in questi giorni, ti conosco un po’ di più.

Margherita Bonino

Realista, ostinata, capace di vivere pienamente la vita.

‘Cara zia, mi manchi!
Me ne accorgo quando studio e vorrei avere un confronto, quando faccio la zia e mi chiedo se il verso del corvo lo faccio bene come te, quando arredo casa e penso che approveresti la scelta del colore, quando arrivo in cima ad una montagna con gli sci e vorrei chiamarti per raccontarti la gita.

Cara zia, ti penso!
Saresti felice delle scelte che ho preso? E che cosa diresti alla donna che sto diventando? Hai mai avuto paura di sbagliare?

Cara zia, grazie.
Perchè, quando confusa mi fermo a pensare alla mia vita, so per certo che la voglio come la tua: vissuta.
Vissuta appieno. Desiderata, spesa, amata, faticosa, meravigliosa: vita!

Dicevi: “è qui che sento che le mie giornate hanno un senso”. Aiutami zia a trovare il mio ‘qui’ e a starci con tutto l’amore e la passione, come hai fatto tu.’

Maria Bertoglio

Il ricordo che mi è rimasto più impresso della zia è…

Nel caos del pronto soccorso pediatrico di Uije, in Angola, lei sta provando inutilmente a rianimare un bambino con malaria cerebrale. Quando alza gli occhi dal corpicino esanime, mi guarda e mi dice: “com’è brutto sentirsi impotenti”.

A distanza di 15 anni, questa frase e lo sguardo frustrato, ma non rassegnato, della zia Maria è la cosa che più mi tengo stretto. La sua capacità di essere razionale, senza però lasciarsi sopraffare dalla sua piccolezza di fronte a problemi mastodontici. Realista, ma ostinata nel fare la propria parte per rendere il mondo un po’ più giusto, un po’ migliore.

Pietro Bertoglio

La mia zia Maria medico pediatra, e per questo zia di molti bimbi africani

Quindici anni fa, qualche migliaio di kilometri più a sud, in Africa, in Angola si consumava un’epidemia di Marburg.
Quindici anni fa a Luanda, capitale dell’Angola, moriva la zia Maria.

La mia zia Maria, ma in quanto medico pediatra, zia di molti bimbi africani, bambini cui ha deciso di dedicare e donare la vita.
Questo anniversario è sicuramente particolare a causa dei fatti che stanno sconvolgendo il mondo (in particolare la “nostra” parte di mondo), porta con sè il ricordo della zia e alcune drammatiche considerazioni.
È disarmante come una realtà così surreale qui da noi, in altre parti del mondo sia considerato semplicemente una realtà. È disarmante che dal momento in cui i diretti interessati sono persone che muovono l’economia mondiale, immediatamente sia emergenza. È disarmante che 15 anni fa in Angola sia scattata l’emergenza solo dopo che un medico bianco si è ammalato.
Smuove di nuovo molte certezze e mette in una condizione di fragilità. La zia aveva lasciato scritto: “se la mia morte fosse l’ultima certo non mi dispiacerebbe poi tanto di morire”, ecco in questi giorni mi torna spesso in mente mettendomi di fronte alla mia piccolezza e aprendomi alcune domande rispetto al mio essere mamma, moglie, maestra, amica perché in fondo sono queste le cose che “sono” e in cui mi è chiesto di “darmi”.

La testimonianza che la zia con la sua vita ha lasciato, obbliga a fermarsi e considerare la realtà provando a domandarsi se forse, anche in questi tragici eventi non possa esserci della grazia: fosse la possibilità stessa di guardare oltre, che mistero grande la vita!

Enrica Bertoglio

Mi piace pensarla normale perché lo era. Eppure era speciale e unica ed eccezionale

Mi piace ricordare la zia Maria come una persona normale. Con i suoi pregi e i suoi limiti. Il suo coraggio e le sue paure. Le sue “follie” e il suo pacato e ragionevole buon senso.

Mi vengono in mente tanti numerosi ma anche piccoli episodi passati insieme: da quando ci insegnava “C’era un ragazzo” a quando le venivano le “ramate” di dipingere o di decespugliare, a quando abbiamo abbandonato foglie d’alloro per tutta la Borgogna, a quando per non scivolare con la macchina sul ghiaccio abbiamo cosparso la strada di muschio…

Mi piace pensarla normale perché lo era. Eppure era speciale ed unica ed eccezionale.

É proprio la sua normalità ma allo stesso tempo eccezionalità che me la rende ancor più presente e vicina ora.

Perché mi mostra una strada possibile. Una strada possibile a tutti. Con i nostri limiti e i nostri difetti con le nostre follie e le nostre serietà, tutti noi possiamo diventare santi. Pensarla mi commuove per questo. Perché chiunque può dire si al Mistero della vita essendo se stesso fino in fondo come ha fatto lei.

Caterina Bonino

Vorrei dirle che spesso ho paura che questa fatica che ci è chiesta ora non abbia senso e che il sacrificio di tante vite mi sembra assurdo

In questo periodo mi è sicuramente più facile di prima immedesimarmi nella solitudine e nella sofferenza vissute dalla zia negli ultimi mesi della sua vita. Vorrei poterle chiedere, confrontarmi, dirle che spesso ho paura che questa fatica che ci è chiesta ora non abbia senso e il sacrificio di tante vite mi sembra assurdo.

Chiedo di poter avere una briciola della sua fede e che anche la mia vita sia, come lo è stato la sua, “realizzazione del sogno della giovinezza”.

Cecilia Bonino

Gulu, 12 novembre 2002 Maria Bonino scrive alla nipote Margherita:

«Il lavoro è sempre notevole, la pediatria e la nutrition unit sono sempre strapiene. Ringrazia il Padreterno di essere nata nella parte comoda del mondo, senza dimenticarti di quelli che non hanno avuto questa fortuna.
Con questa saggia raccomandazione ti saluto».